+ Nel nome della Santa ed Indivisibile Trinità, Alfonso per grazia divina Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza,
Poiché se è vero che quando un amico è in torto bisogna pur criticarlo, perché, come dicono nei deserti saraceni, ciascheduno è custode e protettore dell'altro, senza preoccuparsi delle conseguenze, perché se criticato perdonerà virando nel giusto, giacché è solo il tradimento ed il complotto che l'amico non perdonerà mai, ma anzi, subendolo, farà sì che nessun altro sia più amico del reo,
Pertanto, Noi, Alfonso, quarto del nostro nome, per grazia divina piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza, ci sentiamo presi in causa dall'editto del Nostro confinante ed amico Signore dei Mori e pubblicamente, senza nascondere nulla gli risponderemo.
Nei termini dell'alleanza che fu stretta all'inizio dei tempi tra Noi ed il Vostro regno veniva garantita la possibilità di commercio reciproco, ossia che Noi, potessimo inviare per nostra Regalissima Volontà mercanti nelle Vostre terre, garantendo al contempo la medesima cosa a Voi, in modo che Commercio e Pace sostituissero Guerra e Miseria.
Riguardo al fatto che mercanti d'Aragona abbiano sostituito quelli Moreschi nel commercio di alcune risorse, ciò, verosimilmente, trattasi di un errore a cui presto sarà rimediato.
Nel caso il Signore dei Mori volesse ridiscutere i termini dell'accordo, troverà in Noi più che un interlocutore fidato, ma fino ad oggi nessun mercante d'Aragona, di Provenza o di Valencia si è trovato in torto dinnanzi alla verità di Cristo, né nei Vostri confronti, attenendosi alle disposizioni vigenti per la sua Nazione.
Confidando nel favore della Divina provvidenza,
Segnato da Alfonso piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza.
Io, Iacobus da Vinegia, cancelleriere del Regno sottoscrivo e confermo.
Anno di Grazia MCLXVI, indizione IX, regnante Alfonso quarto del suo nome, piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza, anno di regno XVIII
Ad accrescere le mie sventure, il giorno dell'Assunzione della santa madre di Dio e vergine Maria, giunsero, con male augurio per me, gli ambasciatori di Giovanni XIII signore apostolico e Papa universale con lettere con cui pregavano Niceforo Imperatore dei Greci di far parentela e salda amicizia con suo diletto figlio spirituale Ottone, Imperatore augusto dei Romani.
"Ma il Papa, sciocco ed insulso, ignora forse che Costantino il grande trasferì qui lo scettro imperiale, tutto il Senato, tutto l'esercito romano e che a Roma lasciò soltanto vili schiavi, cioè pescatori, mercanti di ghiottonerie, uccellatori, bastardi, plebei e servi?"
"Ma il Papa, dissi, famoso per la sua lealtà, pensò di scrivere questo a lode e non ad offesa dell'Imperatore. Sappiamo certamente che Costantino Imperatore romano venne qui con l'esercito romano e fondò questa città col suo nome; ma poiché Voi avete mutato lingua, costumi e vesti, il Santo Padre ha pensato che vi dispiacesse il nome di romani, come pure non vi piace la loro veste"