+ Nel nome della Santa ed Indivisibile Trinità, Alfonso per grazia divina Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza,
Poiché se l'eresia è un immondo serpente che striscia nell'ombra delle anime atossicandole con il veleno della sua falsità e così facendo infrange l'ordine voluto ed amato da Cristo; e se è peccato nominare invano il nome del Salvatore e blasfemia darGli delle attribuzioni che non corrispondono al vero, ma che sono frutto delle farneticazioni del Demonio, è altrettanto vero che lasciarli parlare in modo che diffondano le loro turperie in ogni dove, lasciare che travino i semplici affermando che fu il Demonio e non Dio a creare il mondo e che il Sommo Pontefice siede sul trono di Satana, è altrettanto ignobile e peccaminoso che affermarle Noi medesimi,
Pertanto, Noi, Alfonso, quarto del nostro nome, per grazia divina piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza, rispondendo alle parole del Pontefice Gregorio per il quale è compito di ogni cristiano eradicare il male in ogni sua forma e accidente, mossi da pietà ed amore filiale per Cristo, con la ferma intenzione di riportare la Sua verità nelle terre che erano cadute nelle tenebre dell'errore, abbiamo sconfitto l'eresiarca Raimondo il Cataro, folle seguace di Satana, e Ci apprestiamo a governare sulla contea di Tolosa con quella pietà e devozione che gli è sempre mancata.
Così facendo, affermiamo con la verità dinnanzi agli occhi, che l'immonda piaga dell'eresia Catara oggi non esiste più e quelle terre che prima vi erano aggiogate come bestie o schiavi, ora gioscono sotto la guida del Sommo Pontefice che a Roma risiede, unico vicario di Cristo in terra.
Segnato da Alfonso piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza.
Io, Iacobus da Vinegia, cancelleriere del Regno sottoscrivo e confermo.
Anno di Grazia MCLX, indizione III, regnante Alfonso quarto del suo nome, piissimo Re d'Aragona, Re di Valencia e Signore di Provenza, anno di regno VI
Ad accrescere le mie sventure, il giorno dell'Assunzione della santa madre di Dio e vergine Maria, giunsero, con male augurio per me, gli ambasciatori di Giovanni XIII signore apostolico e Papa universale con lettere con cui pregavano Niceforo Imperatore dei Greci di far parentela e salda amicizia con suo diletto figlio spirituale Ottone, Imperatore augusto dei Romani.
"Ma il Papa, sciocco ed insulso, ignora forse che Costantino il grande trasferì qui lo scettro imperiale, tutto il Senato, tutto l'esercito romano e che a Roma lasciò soltanto vili schiavi, cioè pescatori, mercanti di ghiottonerie, uccellatori, bastardi, plebei e servi?"
"Ma il Papa, dissi, famoso per la sua lealtà, pensò di scrivere questo a lode e non ad offesa dell'Imperatore. Sappiamo certamente che Costantino Imperatore romano venne qui con l'esercito romano e fondò questa città col suo nome; ma poiché Voi avete mutato lingua, costumi e vesti, il Santo Padre ha pensato che vi dispiacesse il nome di romani, come pure non vi piace la loro veste"